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ecologia
Negli anni ‘20, il Prof. Simon Kuznet creò una misu- adesso le cose sono cambiate. Stiamo sovra-sfruttando il
ra del valore prodotto all’interno di un singolo Paese nostro pianeta e, in diversi Paesi, il benessere materiale è
in un determinato anno: il Prodotto Interno Lordo eccessivo. Oggi abbiamo bisogno di un nuovo indicatore,
(PIL). Eravamo al termine della Seconda Rivoluzione In- una misura che ci aiuti a mettere sotto controllo il nostro
dustriale, e c’era ancora molto da guadagnare in “benes- impatto (la nostra impronta) sull’ambiente. L’aumento
sere materiale”. Il PIL, quindi, capitava a pennello e si è del PIL non può essere più la nostra priorità. Noi (citta-
dimostrato un ottimo indicatore per misurare lo svilup- dini, imprese, istituzioni), nello svolgere le nostre attività
po di un Paese. Da allora la “crescita del PIL” è stata la ordinarie, produciamo una certa pressione sulla natura:
missione principale di quasi tutti i Paesi del mondo. Ma utilizziamo materie prime (per produrre nuovi prodot-
ti); in questo processo consumiamo energia e generiamo
emissioni di CO2; produciamo rifiuti; usiamo spazio per le
infrastrutture urbane, etc. Ciascuna di queste attività può
essere misurata separatamente (tasso di deforestazione,
consumo di energia, emissioni di CO2, produzione di rifiu-
ti, riciclaggio, etc.). Ma solo nel 1990, Mathis Wackerna-
gel, allora ricercatore presso la University of British Colum-
bia e, successivamente, fondatore e presidente del Global
Footprint Network, ha concepito un indice che sintetizza
l’impatto di tutte queste attività in un unico numero. Esso
descrive il nostro impatto ambientale sia a livello globale
che a livello nazionale: l’impronta ecologica.
L’impronta ecologica misura le risorse ecologiche richie-
ste da una determinata popolazione per soddisfare i propri
consumi (in termini di alimenti e fibre vegetali, prodotti it-
tici, legna e prodotti forestali, spazio per la realizzazione
di infrastrutture urbane) e per assorbire i propri rifiuti (so-
prattutto le emissioni di anidride carbonica). L’impronta
ecologica monitora l’utilizzo di sei categorie di superfici
produttive: da coltivazione, da pascoli, da pesca, da costru-
zione, forestali e per l’assorbimento di anidride carbonica.
La biocapacità di una città o di una nazione rappresenta il
“grado di produttività” dei suoi asset naturali (terreni agri-
coli, terreni da pascolo, foreste, superfici per la pesca e aree
destinabili alle costruzioni). Sia l’impronta ecologica che la
biocapacità sono espresse in global hectares (ettari glo-
bali di terreno). Confrontando l’impronta ecologica con la
biocapacità, possiamo dire se una comunità/un Paese/il mondo
è in una condizioni di deficit ecologico (ovvero di “oversho-
ot” - quando l’impronta ecologica è maggiore rispetto alla
biocapacità) o di credito ecologico (quando l’impronta
ecologica è inferiore alla biocapacità).
LA NUOVA PIATTAFORMA DATI:
LA ECOLOGICAL FOOTPRINT DATA EXPLORER
Dal 1990, anche se l’impronta ecologica ha acquisito un
riconoscimento internazionale sempre maggiore come in-
dicatore rivoluzionario atto a misurare l’impatto dell’atti-
vità umana sull’ambiente, la distribuzione dei dati non è
stata adeguata. Per questo motivo, il 27 aprile del 2017
il Global Footprint Network ha lanciato una nuova piatta-
forma dati user-friendly (the new Ecological Footprint Data
Explorer). Al seguente indirizzo web è possibile ottenere
dati sull’impronta ecologica a livello globale e per ogni sin-
golo Paese: http://data.footprintnetwork.org/index.html.
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